Paura e Vaccini Anti-COVID: Un’Analisi Psicologica delle Resistenze

Paura e Vaccini Anti-COVID: Un’Analisi Psicologica delle Resistenze

In un periodo non troppo lontano, l’emergere dei vaccini contro il SARS-CoV-2 fu accolto con un’ondata di sollievo e speranza, simboleggiata da immagini evocative come quella pubblicata dall’Economist, che raffigurava una luce in fondo a un lungo tunnel. Eppure, con l’effettiva disponibilità di questi strumenti vitali e l’avvio delle campagne di somministrazione, assistiamo a un fenomeno inatteso: il riaffiorare di esitazioni, dibattiti e autentica riluttanza riguardo alla loro adozione.

Questo apparente paradosso, come spiega il Professor Luca Steardo, luminare in neurologia e psichiatria presso la Sapienza e l’Università Giustino Fortunato, non può essere compreso senza ricorrere agli insegnamenti della psicologia cognitiva classica. Essa rivela come la nostra mente sia intrinsecamente suscettibile a “bias” cognitivi, ovvero errori di ragionamento che generano distorsioni interpretative e decisioni sbagliate. La reticenza ad accettare la vaccinazione, che in alcuni casi sfocia in vera e propria vaccinofobia, si articola attorno a una sequenza centrale: dubbio, incertezza e infine paura.

Le decisioni irrazionali contrarie ai vaccini sono spesso alimentate da una percezione esagerata del rischio. La psicologia cognitiva ci insegna che la maggior parte delle scelte relative a situazioni rischiose non si basa su un’analisi razionale, ma piuttosto su intuizioni e “euristiche”. Questi sono processi di pensiero automatici e veloci, che privilegiano la rapidità e la frugalità delle informazioni, impedendoci di cogliere la complessità delle circostanze. In altre parole, le nostre scelte in merito ai vaccini sono costantemente plasmate da questi errori cognitivi sistematici, compiuti dalla mente quasi automaticamente e inconsciamente, specialmente quando si devono prendere decisioni cruciali per la nostra salute e il nostro benessere, e ancor più in condizioni di profonda incertezza.

Diversi fattori contribuiscono ad amplificare questa percezione del rischio e ad alimentare derive emotive che ci allontanano dalla ragionevolezza. L’invisibilità dell’agente patogeno, la scarsa conoscenza del suo ciclo vitale e del suo funzionamento, l’incapacità percepita di controllarlo o di elaborare efficaci strategie di difesa, sono tutti elementi che accrescono il senso di vulnerabilità. Se a questo scenario emotivo si sommano messaggi apocalittici (“nulla sarà più come prima!”), se la ricerca scientifica fatica a comunicare in modo coerente e univoco, e se le istituzioni mostrano difficoltà nell’implementare piani vaccinali credibili ed efficienti, si crea un clima di insicurezza generalizzata. Questo contesto finisce per rafforzare le fragilità psicologiche, il timore, e favorisce un circolo vizioso di difficoltà interpretativa, incertezza, aumento della percezione del rischio e panico.

Data la complessità del substrato cognitivo, emotivo e relazionale da cui nascono l’esitazione e la paura, è imperativo moderare i toni eccessivamente catastrofici e pessimistici. È fondamentale puntare su comunicazioni scientifiche e cliniche che, pur senza negare le divergenze, siano capaci di evidenziare convergenze e sinergie, e di ritrovare canali di dialogo adeguati alla serietà degli argomenti e alla gravità del momento, liberi da ogni intento di spettacolarizzazione.

Solo comprendendo a fondo queste dinamiche psicologiche, modificando il contesto e correggendo l’approccio comunicativo, sarà possibile intraprendere un confronto costruttivo con i soggetti più scettici, i cosiddetti “no-vax”, nel tentativo di smantellare le loro errate convinzioni. Un approccio che si limiti a presentare risultati scientifici inoppugnabili, appellandosi esclusivamente alla razionalità e ignorando i processi emotivi, motivazionali e le fallacie cognitive alla base delle loro decisioni, è destinato al fallimento. Anzi, la psicologia suggerisce che tale rigidità potrebbe provocare un’ulteriore radicalizzazione delle posizioni, attivando dinamiche di auto-conferma e auto-rafforzamento legate all’autostima e a profonde reazioni difensive. A ciò si connette strettamente un’altra dinamica psicologica rilevante: l’effetto Dunning-Kruger. Questo fenomeno descrive la tendenza degli individui meno esperti a sopravvalutare le proprie competenze e a sottostimare i propri limiti, portandoli a credersi più informati degli esperti riconosciuti. Si tratta spesso di una reazione compensatoria e difensiva verso sentimenti, consci o inconsci, di inferiorità mal tollerata.

In soggetti con problemi di personalità più o meno manifesti, tali dinamiche possono sfociare nell’adesione a teorie complottiste (come l’idea di un virus creato in laboratorio o di Big Pharma e la Grande Finanza che lucrano sulla pandemia). Questi individui si sentono in dovere di combattere tali “poteri”, spinti da un senso narcisistico di auto-eroismo. Studi recenti confermano infatti una marcata correlazione tra antivaccinismo e la diffusione di tesi complottistiche in specifiche aree e strati sociali. Tutto ciò acuisce la paura di essere vittime di una situazione artificialmente creata e alimenta l’angoscia di non potervi esercitare alcun controllo. Infine, tra le motivazioni psicologiche che generano esitazione e rifiuto, non va trascurato il timore ancestrale dell’iniezione di materiale “impuro”, percepito come patogeno o contaminato, in un corpo sano. Questa atavica paura della contaminazione ha accompagnato la storia della vaccinazione, influenzando persino pensatori come Kant e Rousseau. È la paura che il vaccino stesso sia un agente di malattia, generando profonda angoscia e, paradossalmente, conducendo a un fatalismo che fa dimenticare come proprio la mancata vaccinazione esponga al rischio maggiore di ammalarsi gravemente.

È evidente che dimostrare l’efficacia e la sicurezza dei vaccini, o spiegare l’iter di sperimentazione clinica e i controlli delle agenzie regolatorie e dei comitati etici, è vano per i “no-vax”. Le loro convinzioni, infatti, derivano da processi di pensiero automatici, influenzati da stati emotivi e soggetti a distorsioni cognitive. Tuttavia, una profonda conoscenza dei meccanismi psicologici responsabili di queste posizioni non è solo utile, ma rappresenta una condizione necessaria per elaborare strategie di approccio efficaci, capaci di indurre una riconsiderazione delle loro convinzioni errate.