Frode Quindicennale sui Vitalizi per Vittime di Mafia: Sequestri ai Familiari di un Clan
Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli ha recentemente eseguito un provvedimento di sequestro preventivo, emesso con urgenza dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata, su beni stimati in oltre 166.000 euro. L’azione è stata intrapresa nei confronti di due donne – la moglie e la suocera di un noto membro del “clan Gionta” – attualmente indagate per aver percepito indebitamente, per ben quindici anni, un vitalizio statale. Tale beneficio, destinato ai familiari delle vittime della criminalità organizzata, rientra nella fattispecie di cui all’articolo 316-ter del Codice Penale, relativo all’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato.
L’indagine ha svelato come il sussidio abbia avuto origine dalla tragica “strage di Sant’Alessandro”, avvenuta il 26 agosto 1984. In quell’occasione, un commando armato della criminalità organizzata, utilizzando un autobus turistico, aprì il fuoco indiscriminatamente davanti al circolo dei pescatori a Torre Annunziata, nel cuore del Quadrilatero delle Carceri. L’atto barbaro provocò la morte di otto individui e il ferimento di altre sette persone. Circa diciotto anni più tardi, nel febbraio del 2002, la vedova e la figlia di una delle vittime di quella carneficina (identificata con le iniziali A.F.) ricevettero dal Ministero dell’Interno un assegno vitalizio, riconosciuto ai sensi della Legge 407/1998 per i familiari delle vittime di Camorra.
Tuttavia, l’erogazione di tale sostegno economico si rivelò incompatibile con una circostanza cruciale: nel 1999, la figlia della vittima si era unita in matrimonio con I.P., un individuo affiliato al “clan Gionta”. Quest’ultimo è attualmente detenuto, dal 18 gennaio 2017, presso il carcere di Secondigliano, dove sconta pene per reati quali associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.), rapina e estorsione (artt. 628, 629 c.p.). A suo carico pende anche una condanna definitiva, emessa il 18 giugno 2018, per violazioni relative al riciclaggio (art. 12-quinquies Legge n. 306/1992) e allo spaccio di stupefacenti (art. 73 DPR 309/1990). La donna aveva deliberatamente omesso di dichiarare questo matrimonio, una condizione necessaria per mantenere l’accesso al vitalizio.
La frode si aggravò quando, nel 2009, la Prefettura richiese con insistenza alle due beneficiarie di aggiornare i dati relativi alla loro composizione familiare. Questo era un passaggio fondamentale per accertare la loro estraneità a contesti criminali, un requisito imprescindibile per l’ottenimento e il mantenimento del sussidio. Le donne, ignorando le richieste, non solo si astennero dal fornire le informazioni dovute, ma arrivarono a simulare una separazione consensuale tra la figlia e il malavitoso, ufficialmente omologata dal Tribunale di Torre Annunziata il 18 maggio 2010.
Tuttavia, le approfondite indagini condotte dalla Guardia di Finanza, sotto la direzione della Procura della Repubblica di Torre Annunziata, hanno smascherato la natura fittizia di questa separazione. È stato infatti accertato che, ben sette anni dopo la presunta rottura, nel 2017, la coppia aveva dato alla luce un’altra figlia. Inoltre, è emerso che la moglie – spesso accompagnata dalla madre – continuava a frequentare regolarmente il marito in occasione dei colloqui nel carcere di Secondigliano, dove l’uomo rimane tuttora recluso.
