Decifrare la Durata dell’Immunità al SARS-CoV-2: Tra Anticorpi Variabili e Linfociti T Persistenti
La crisi pandemica da COVID-19, scatenata dal virus SARS-CoV-2, ha imperversato per oltre un anno, causando più di 125 milioni di contagi e quasi 2,5 milioni di decessi a livello globale. Nonostante il tempo trascorso, numerose incertezze scientifiche persistono riguardo a questa emergenza sanitaria. Tra queste, la natura e la persistenza dell’immunità protettiva rappresentano interrogativi cruciali, fondamentali per valutare il rischio di reinfezione e per lo sviluppo di efficaci strategie vaccinali. In qualsiasi infezione virale, si prevede che sia le risposte anticorpali sia quelle mediate dai linfociti T contribuiscano alla difesa dell’organismo; evidenze scientifiche suggeriscono che questo principio valga anche per il SARS-CoV-2.
Ricercatori della Duke-NUS Medical School, del National Center for Infectious Diseases (NCID) e dei laboratori per le malattie infettive dell’Agenzia per la Scienza, la Tecnologia e la Ricerca (A*STAR) hanno condotto uno studio che ha rivelato una notevole variabilità nel declino degli anticorpi contro il SARS-CoV-2. Questi possono svanire in pochi giorni in alcuni individui, mentre in altri possono rimanere rilevabili per decenni. La ricerca, pubblicata su *The Lancet Microbe*, suggerisce che la severità dell’infezione potrebbe essere un fattore determinante per la longevità degli anticorpi. Il team ha monitorato 164 pazienti affetti da COVID-19 per un periodo di sei-nove mesi, analizzando campioni di sangue per identificare anticorpi neutralizzanti contro il SARS-CoV-2, linfociti T e molecole di segnalazione immunitaria. I dati raccolti sono stati poi utilizzati per sviluppare un algoritmo di apprendimento automatico in grado di predire l’andamento degli anticorpi neutralizzanti nel tempo.
Il Professor Wang Linfa, del programma di malattie infettive emergenti (EID) della Duke-NUS e coautore dello studio, ha sottolineato: “La conclusione principale di questa indagine è che la durata degli anticorpi neutralizzanti funzionali contro il SARS-CoV-2 può differire enormemente, rendendo essenziale un monitoraggio personalizzato. Questo lavoro potrebbe avere importanti implicazioni anche per la persistenza dell’immunità post-vaccinazione, aspetto che sarà al centro dei nostri studi successivi”.
I ricercatori hanno identificato cinque distinte categorie di pazienti in base alla traiettoria dei loro anticorpi:
1. Il gruppo “negativo” (11,6% dei partecipanti) non ha mai sviluppato anticorpi neutralizzanti rilevabili.
2. Il gruppo a “rapido declino” (26,8%) ha mostrato livelli anticorpali iniziali variabili, ma che sono calati velocemente.
3. Il gruppo a “lento calo” (29%) ha mantenuto una positività agli anticorpi nella maggior parte dei casi fino a sei mesi.
4. Il gruppo “persistente” (31,7%) ha evidenziato variazioni minime nei livelli anticorpali fino a 180 giorni.
5. Infine, il gruppo a “risposta ritardata” (1,8%) ha manifestato un significativo incremento di anticorpi neutralizzanti nella fase tardiva della convalescenza.
Mentre l’indagine si è concentrata sulla misurazione degli anticorpi neutralizzanti, parte integrante del complesso sistema immunitario, è stata esaminata anche l’immunità mediata dai linfociti T, un altro pilastro della difesa efficace. Lo studio ha rilevato che i pazienti esaminati, inclusi quelli del “gruppo negativo”, mostravano una robusta immunità T-cellulare sostenuta fino a sei mesi dall’infezione iniziale. Ciò suggerisce che gli individui possono mantenere una protezione anche in presenza di bassi livelli di anticorpi neutralizzanti, qualora la loro immunità T-cellulare sia solida.
Il Professor David Lye, direttore dell’Ufficio di Ricerca e Formazione sulle Malattie Infettive del NCID e coautore, ha affermato: “La nostra ricerca si concentra sugli anticorpi neutralizzanti, essenziali per la protezione contro il COVID-19, e abbiamo constatato che il loro declino varia tra le persone. Questo enfatizza l’importanza cruciale delle misure di sanità pubblica e sociali nella gestione della pandemia in corso. La presenza di un’immunità T-cellulare, tuttavia, offre una speranza per una protezione a lungo termine, ma richiederà ulteriori indagini e tempo per la conferma attraverso evidenze epidemiologiche e cliniche”.
Aggiunge il Professor Laurent Renia, direttore esecutivo degli A*STAR Infectious Diseases Labs: “Questo studio ci ricorda che le risposte individuali alle infezioni sono eterogenee e che le persone sviluppano difese immunitarie protettive differenti. Comprendere le basi di queste diversità sarà fondamentale per lo sviluppo di vaccini più efficaci”.
Questi risultati hanno un peso significativo per i decisori politici, che stanno elaborando programmi di vaccinazione e strategie per superare la pandemia. Il tasso di diminuzione anticorpale suggerisce che le reinfezioni potrebbero verificarsi in future ondate epidemiche. Inoltre, se l’immunità indotta dalle vaccinazioni dovesse attenuarsi in modo simile a quella prodotta naturalmente, potrebbe essere necessaria una somministrazione annuale del vaccino per prevenire future recrudescenze del COVID-19. Saranno indispensabili ricerche supplementari per chiarire questi aspetti con l’avanzamento delle campagne di vaccinazione globali.
