Tragedia Carceraria: Un Detenuto Cinquantenne Si Toglie la Vita a Bellizzi Irpino
La notte scorsa, un detenuto di cinquant’anni, originario della Puglia e in attesa di giudizio per reati legati all’associazione mafiosa (ai sensi dell’art. 416 bis c.p.), ha posto fine alla sua esistenza. Emilio Fattorello, segretario nazionale per la Campania del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (SAPPE), ha commentato l’evento con profondo rammarico. Il tragico gesto è avvenuto per impiccamento: il recluso ha approfittato del sonno dei suoi compagni di cella per compiere l’atto disperato, legandosi al termosifone della stanza. Dalle prime informazioni disponibili, non erano emersi segnali premonitori che potessero far presagire una tale decisione estrema da parte del detenuto. L’Autorità giudiziaria competente ha già avviato le indagini per chiarire le dinamiche e le motivazioni di questo suicidio. Tali gravi episodi, ha concluso Fattorello, lasciano sgomenti sia il personale operativo che gli altri reclusi presenti nell’istituto.
Donato Capece, segretario generale del SAPPE – il sindacato più rappresentativo dei Baschi Azzurri – ha richiamato l’attenzione su una precedente pronuncia del Comitato Nazionale per la Bioetica. Questo organismo aveva già evidenziato come il suicidio in carcere non sia altro che una manifestazione di una crisi identitaria più ampia e complessa, generata dall’ambiente detentivo stesso. L’istituzione carceraria altera i rapporti umani, distrugge le prospettive di vita, e annienta progetti e speranze. La soluzione più efficace e radicale per mitigare questi disagi, secondo il Comitato, risiederebbe in un ripensamento globale della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo della prigione. Il suicidio, infatti, è frequentemente la causa di morte più comune negli istituti di pena. Nonostante le carceri abbiano l’obbligo primario di salvaguardare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia vanti una legislazione avanzata per prevenire tali criticità, il decesso di un recluso per sua mano costituisce comunque un potente fattore di stress sia per gli agenti di polizia penitenziaria che per gli altri prigionieri.
“È fondamentale eliminare l’inattività all’interno delle celle,” ha aggiunto Capece, sottolineando che “si tratta di ben altro che semplice ‘vigilanza dinamica’.” L’Amministrazione Penitenziaria, a suo dire, non ha compiuto progressi significativi nel migliorare le condizioni di vivibilità degli spazi detentivi. Un esempio lampante è il numero esiguo di detenuti che svolgono attività lavorative rispetto alla popolazione carceraria totale; la maggior parte di questi è impiegata per il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) in mansioni di pulizia o altre attività interne, e spesso per poche ore a settimana. Per queste ragioni, il segretario del SAPPE ha rinnovato l’appello al Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, affinché si trovi una soluzione urgente ai problemi del sistema penitenziario, sia nella struttura di Avellino che a livello nazionale.
