Assoluzione nel ‘Caso Forni d’Oro’: L’Imprenditore Milanese Scagionato da Accuse di Narcotraffico Internazionale

Assoluzione nel ‘Caso Forni d’Oro’: L’Imprenditore Milanese Scagionato da Accuse di Narcotraffico Internazionale

Un sorprendente capovolgimento giudiziario ha segnato la vicenda di Fabrizio Ventura, industriale milanese a capo della VCG, un’azienda leader globale nella produzione di forni per la fusione di metalli preziosi, destinati all’industria orafa e odontotecnica. Tre anni dopo il suo arresto e una condanna in primo grado, la Corte d’Appello di Napoli lo ha pienamente assolto da gravi imputazioni legate al traffico internazionale di cocaina, disponendone l’immediata liberazione.

Ventura era stato coinvolto in una complessa inchiesta che ipotizzava l’esistenza di una vasta organizzazione criminale attiva tra Colombia, Spagna, Paesi Bassi e Italia, con un fulcro operativo e logistico tra Napoli e la sua provincia, dedita all’importazione di ingenti quantitativi di stupefacente dal Sudamerica. La sua attività imprenditoriale lo aveva condotto a stabilire legami commerciali con alcuni operatori colombiani. All’epoca, però, Ventura era ignaro che questi individui fossero già sotto indagine dal 2014 per traffico internazionale di cocaina, con ramificazioni anche nella criminalità campana. La fitta rete investigativa, costellata da anni di intercettazioni e pedinamenti, portò infine all’arresto dell’imprenditore.

Secondo la tesi della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, Ventura avrebbe ricevuto notevoli somme di denaro dall’organizzazione di narcotraffico. Questi fondi sarebbero stati poi rispediti in Colombia, celati all’interno dei forni prodotti dalla sua azienda, talvolta persino con telai realizzati in oro, il tutto mascherato da spedizioni commerciali legittime. L’ipotesi accusatoria aveva trovato riscontro sia presso il Tribunale del Riesame che in Suprema Corte, le quali avevano respinto le istanze difensive. Anche il giudice di primo grado, dott. Marco Carbone, aveva accolto la tesi della Procura, seppur la difesa, curata dagli avvocati Dario Vannetiello e Giusida Sanseverino, fosse riuscita a contenere la pena a 6 anni e 9 mesi di reclusione.

Tuttavia, il giudizio d’appello ha rappresentato una svolta clamorosa. La Corte d’Appello di Napoli (seconda sezione), nella giornata di ieri 21 aprile, ha pronunciato la sentenza relativa al maxi processo che ha visto coinvolte numerose figure di spicco, tra cui Carbone Bruno (condannato a 20 anni), Gomez Perales Antonio (10 anni), Torino Vincenzo (12 anni e 8 mesi), Verderosa Francesco (14 anni e 17 giorni), Esposito Vincenzo (13 anni) e La Volla Marco (12 anni e 8 mesi).

I giudici d’appello, accogliendo integralmente le argomentazioni, sia fattuali che giuridiche, strenuamente sostenute dai legali Dario Vannetiello (del Foro di Napoli) e Giusida Sanseverino (del Foro di Benevento), hanno assolto Fabrizio Ventura dalla grave imputazione. Nell’ambito della stessa decisione, è stato assolto anche uno dei tre imprenditori colombiani, Aguirre Avivi Hernan, mentre sono stati condannati gli altri due, i fratelli Ayala Andres (13 anni e 6 mesi) e Antonio (6 anni e 8 mesi).

La Corte d’Appello ha abbracciato la linea difensiva che presentava Ventura come un imprenditore estraneo agli ambienti criminali, i cui rapporti con i soggetti colombiani erano esclusivamente di natura commerciale. L’originale strategia legale ha convinto la Corte partenopea con la seguente spiegazione: l’imprenditore, ricevute somme dai colombiani, provvedeva all’acquisto di oro recandosi personalmente presso rivenditori a Vicenza, città rinomata per l’oreficeria. Una volta acquistato, Ventura, con l’aiuto di un dipendente, disassemblava i forni a crogiolo della sua azienda e nascondeva i lingotti d’oro tra le pareti metalliche interne. I forni, così “arricchiti”, venivano spediti in Colombia con regolare documentazione di viaggio.

La peculiarità di questa tesi risiedeva nel fatto che l’occultamento dell’oro era motivato dall’intenzione di eludere gli onerosi dazi imposti dalla legge colombiana sui metalli preziosi, senza che l’imprenditore lombardo avesse alcuna consapevolezza che il denaro ricevuto provenisse dal narcotraffico. A rafforzare questa tesi, i penalisti hanno messo in atto una mossa inusuale ma vincente: hanno prodotto alla magistratura un forno crogiolo identico a quelli inviati in Colombia per contestare un’ulteriore accusa di occultamento di banconote. Gli inquirenti avevano infatti ipotizzato che, in alcune occasioni, Ventura avesse nascosto somme ingenti, fino a 500.000 euro, all’interno dei forni. Tuttavia, grazie all’esibizione in aula del forno prodotto dalla VCG, i giudici hanno potuto verificare che, date le dimensioni contenute dell’apparecchiatura, questa poteva sì contenere lingotti d’oro di pari valore, ma non in alcun caso 500.000 euro in banconote.

Grazie al minuzioso e ingegnoso lavoro difensivo degli avvocati Vannetiello e Sanseverino, la Corte napoletana, in un contesto processuale che ha visto decine di condanne, si è convinta dell’estraneità di Ventura all’organizzazione criminale, portando alla sua completa assoluzione e all’immediata riconquista della libertà.