CGIL, CISL, UIL: L’8 Marzo delle Donne, Tra Pandemia e Disparità Strutturali, Un Appello per Lavoro e Diritti

CGIL, CISL, UIL: L’8 Marzo delle Donne, Tra Pandemia e Disparità Strutturali, Un Appello per Lavoro e Diritti

In occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, CGIL, CISL e UIL propongono un’attenta riflessione, veicolata tramite un documento mediatico, sul ruolo e la condizione lavorativa femminile. Mentre le donne vengono incessantemente elogiate per il loro fondamentale e insostituibile contributo nel fronteggiare una pandemia che non accenna a placarsi, paradossalmente, la loro quotidianità stenta a registrare reali miglioramenti, sia a livello istituzionale che nella sfera personale.

Questo contesto ha generato un’ampia e rumorosa protesta nel mondo femminile, in particolare in seguito alle nomine ministeriali del governo Draghi. L’attesa di una maggiore rappresentanza di genere nelle istituzioni politiche è stata disattesa, alimentando un crescente senso di insoddisfazione e l’urgente richiesta di politiche concrete e orientate alla parità di genere.

La crisi pandemica ha inequivocabilmente ampliato le disuguaglianze di genere, inserendosi in un panorama lavorativo già profondamente segnato da criticità preesistenti all’emergenza sanitaria. Un esempio lampante è il cosiddetto “gender pay gap”, che vede un divario retributivo medio annuo di circa il 20% tra uomini e donne.

Tuttavia, la questione retributiva è solo una componente di un problema occupazionale femminile più radicato. Già a inizio 2020, il Censis evidenziava come le donne costituissero circa il 42% della forza lavoro totale del paese, con un tasso di attività femminile attestato intorno al 56% rispetto al 75% maschile. I dati Istat di dicembre, che rispecchiano una tendenza costante nei mesi precedenti, rivelano una ferita sistemica che il 2020 ha drammaticamente acuito, come sottolineano le Responsabili di Genere di CGIL, CISL e UIL.

La ragione per cui il tracollo occupazionale, che ha messo in ginocchio l’Italia a causa della pandemia, ha colpito in modo preponderante le donne, risiede nella natura stessa del loro impiego. Esse sono maggiormente concentrate in settori particolarmente vulnerabili alla crisi, quali i servizi e il lavoro domestico, spesso con contratti che offrono scarsa sicurezza e stabilità, come il part-time. Di conseguenza, si trovano a essere le prime “vittime sacrificali” delle scelte aziendali, un fenomeno che neppure la moratoria sui licenziamenti è riuscita a contenere efficacemente. Caratterizzate da un tasso di occupazione inferiore, retribuzioni più basse, contratti più precari e una minore presenza nelle posizioni aziendali apicali e quindi più sicure, le donne sono oggi le più esposte alle conseguenze negative dell’attuale congiuntura economica.

Anche in contesti apparentemente più stabili, la realtà quotidiana rivela spesso un quadro diverso. Ancora prigioniere di una costruzione sociale che addossa sulle loro spalle l’intero onere della cura familiare, le donne, sia a livello nazionale che in aree specifiche come l’Irpinia e il Sannio, hanno visto il proprio carico di lavoro aumentare vertiginosamente nel 2020. Lo smart working, lungi dal semplificare, si è sovrapposto alle mansioni domestiche, eliminando ogni distinzione spaziale tra ambito professionale e personale. Analizzando l’impatto psicologico dello smart working, la pandemia ha esacerbato disuguaglianze latenti. Il “Women in Tech Report 2020” indica che, sebbene per il 47% delle intervistate il lavoro agile risulti più efficiente e produttivo, per il 44% esso si somma ai carichi di cura e per il 50% incide negativamente sulla progressione di carriera. Inoltre, il “Followup 2020” evidenzia che il 70% delle donne in lockdown ha gestito autonomamente le responsabilità di cura, nonostante la presenza del partner a casa.

Minacce, molestie, mobbing, abusi e discriminazioni sono purtroppo una realtà quotidiana nei luoghi di lavoro e non risparmiano il genere femminile. D’Acerno, Cucciniello e Preziosi sottolineano l’impellente necessità di istituire un tavolo di coordinamento a livello provinciale. Questo organismo, che dovrebbe riunire tutti gli attori sociali e istituzionali, fungerebbe da fulcro per connettere le diverse realtà, identificare le criticità e fornire risposte mirate, in linea con il Recovery Fund che ha individuato Donne, Giovani e Sud come fattori prioritari di intervento.

Affrontando il tema dell’equilibrio tra vita privata e professionale per le donne, emerge che la difficoltà di raggiungere una reale e duratura armonizzazione costituisce il maggiore impedimento a un pieno accesso al mercato del lavoro e alle posizioni dirigenziali. Tale problematica è legata sia a condizioni lavorative spesso penalizzanti, sia alla carenza di servizi di welfare adeguati sul territorio. L’assenza di infrastrutture e supporti essenziali spinge numerose donne a rassegnare le dimissioni o a optare volontariamente per il part-time. Il lavoro di cura, che dovrebbe essere in parte supportato dal settore pubblico, ma che troppo spesso ricade interamente sulle donne all’interno dei nuclei familiari, ostacola l’emancipazione femminile e genera situazioni di dipendenza economica, le quali non di rado sono alla base di fenomeni di violenza.

Per lunghi mesi, è stata perpetrata la narrazione illusoria secondo cui la pandemia avrebbe posto tutti sullo stesso piano; la realtà, tuttavia, ha ben presto smentito tale visione. I dati Istat relativi al 2020 delineano chiaramente l’impatto devastante dell’emergenza sanitaria: da febbraio 2020 sono stati persi 426 mila posti di lavoro. Nel confronto annuale (dicembre 2020 rispetto a dicembre 2019), l’occupazione ha subito un calo di 444 mila unità, di cui ben 312 mila riguardano donne. Sono state proprio le donne, insieme ai giovani e a quella “fascia marginale” del mercato del lavoro – precari e liberi professionisti con Partita IVA – a subire il peso maggiore di questa crisi.

È imperativo invertire la tendenza. Ciò richiede un insieme di azioni culturali mirate a contrastare gli stereotipi di genere, rimuovendo gli ostacoli che impediscono la piena e libera espressione femminile. È altresì fondamentale stimolare l’occupazione delle donne, facilitandone l’ingresso nel mercato del lavoro e limitando le uscite per ragioni familiari. Si deve promuovere l’espansione dei servizi per l’infanzia, mirando a raggiungere il 60% di nidi pubblici e privati (0-3 anni), e prevedere sostegni economici diretti alle famiglie che accompagnino la crescita dei figli fino alla maggiore età. Nelle Pubbliche Amministrazioni e negli Ordini professionali, l’introduzione di un reale equilibrio tra vita lavorativa e personale, inteso come welfare aziendale, assume un’importanza cruciale. Il passaggio dalla mera “conciliazione” alla “condivisione” delle responsabilità è ormai improrogabile. È giunto il momento che tutti si assumano le proprie responsabilità nell’interesse dei cittadini di questa provincia, abbandonando ogni forma di personalismo. CGIL, CISL e UIL, come sempre, sono pronte a fare la propria parte.