Il Vuoto Politico Intorno alle Province: Funzioni Vitali, Destino Ignorato

Il Vuoto Politico Intorno alle Province: Funzioni Vitali, Destino Ignorato

Questioni cruciali, intrinsecamente legate alla vita quotidiana dei cittadini, brillano per la loro assenza nell’attuale dibattito elettorale. Si tratta del modello operativo di enti territoriali che sono i più prossimi alla popolazione, sovente percepiti come l’incarnazione autentica dello Stato. Negli ultimi sette anni, anche sotto la spinta di una grave crisi economica, si è intrapresa una vasta operazione di revisione della spesa, mirata all’eliminazione di costi superflui. Sfortunatamente, in diversi contesti, questo processo non ha raggiunto il suo pieno compimento, con la conseguenza che le strutture burocratiche sono rimaste intatte, pur essendo state svuotate di poteri e di risorse finanziarie.

Un esempio lampante di questa situazione è quello delle province. Inizialmente, sono state declassate a “organi di secondo livello”, il che significa che l’elezione dei loro rappresentanti non avviene più tramite voto popolare, ma è affidata ai delegati dei comuni – sindaci e consiglieri. Il presidente, figura monocratica, detiene l’incarico per quattro anni, mentre il consiglio, drasticamente ridotto nelle dimensioni, dura in carica due anni e si trova privo di qualsiasi potere decisionale effettivo, fungendo unicamente da organo consultivo e senza la possibilità di sfiduciare il presidente.

Questa trasformazione era stata concepita come una fase transitoria, ma appare ormai destinata a divenire permanente. L’innovazione, entrata in vigore nel 2014, avrebbe dovuto preludere alla soppressione definitiva delle province; tuttavia, la bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 ha cristallizzato la situazione attuale. Ne consegue che questi organismi soffrono di una carenza democratica, non essendo eletti direttamente dai cittadini, bensì attraverso un voto ponderato espresso dai consiglieri comunali e dai sindaci.

A peggiorare il quadro, le province sono diventate enti a “finanza derivata”, trovandosi costrette ad attendere i trasferimenti di fondi dallo Stato centrale per poter intervenire sulle materie di propria competenza. Tali competenze non sono poche e rivestono un’importanza non trascurabile: includono l’essenziale edilizia scolastica, fondamentale per la sicurezza delle giovani generazioni, la manutenzione delle strade provinciali e una parte significativa dei lavori pubblici. Ogni anno, a partire dal 2014, dal mese di novembre si rinnova un logorante tira e molla tra i governi e i presidenti provinciali, che si battono per ottenere i finanziamenti indispensabili a garantire la continuità operativa.

Il destino delle province, ad oggi, rimane inspiegabilmente fuori dall’agenda politica. Ma ciò non dovrebbe destare sorpresa, considerando che già da un decennio, precisamente dal 2008, le comunità montane hanno subito una simile riconfigurazione, trasformandosi anch’esse in enti di secondo grado in attesa della loro soppressione o di una riorganizzazione. In dieci anni, nulla di tutto ciò è accaduto e le zone montane sono sempre più abbandonate a se stesse. La loro esistenza sembra riaffiorare alla consapevolezza collettiva solo quando vengono devastate dagli incendi o scosse da fenomeni di dissesto idrogeologico.

Tra la pletora di promesse che vengono profuse in queste settimane pre-elettorali, sarebbe auspicabile ascoltare finalmente proposte concrete e ponderate per la gestione e la governance del nostro territorio.