Legge 104, ora è UFFICIALE: sarà TOLTA ad effetto immediato | Queste persone ci rinunceranno da subito, pesante mazzata di novembre
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Negli ultimi giorni si è acceso un forte dibattito sui diritti delle coppie unite civilmente, dopo la diffusione di una circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP)
Una circolare che, secondo molti, rappresenta un passo indietro in tema di uguaglianza. Il documento, diffuso a inizio ottobre, ha infatti escluso le persone che vivono un’unione civile dal diritto di usufruire dei permessi retribuiti previsti dalla Legge 104/1992 per assistere i parenti del proprio partner.
In pratica, mentre un lavoratore sposato può chiedere i permessi per assistere il suocero o la suocera con disabilità grave, una persona unita civilmente non avrebbe la stessa possibilità. Il motivo? Secondo la circolare, l’unione civile non produrrebbe un vero e proprio rapporto di affinità tra le due famiglie, come invece accade nel matrimonio.
Questa interpretazione ha sollevato l’indignazione di sindacati e associazioni, che parlano apertamente di discriminazione. La FP CGIL ha denunciato il provvedimento come una decisione ingiusta e contraria ai principi di uguaglianza, sottolineando come, di fatto, vengano negati diritti che la legge già riconosce alle coppie sposate.
Ma cosa dice la legge? La Legge 104 del 1992 tutela le persone con disabilità e consente a chi lavora di usufruire di permessi retribuiti per assistere un familiare in gravi condizioni. Con la Legge 76/2016, nota come “Legge Cirinnà”, lo Stato ha poi istituito le unioni civili tra persone dello stesso sesso, stabilendo che alle parti dell’unione civile si applicano le stesse norme previste per i coniugi.
Una distinzione tra coppie
A chiarire ulteriormente la questione era intervenuto anche l’INPS, che nel 2017 e nel 2022 aveva pubblicato due circolari per confermare che i benefici della Legge 104 spettano anche alle coppie unite civilmente, comprese le situazioni in cui si debba assistere i parenti del partner. Insomma, il principio dell’uguaglianza era già stato riconosciuto.
La decisione del DAP, dunque, sembra andare in direzione opposta. Nella realtà, crea una distinzione tra coppie che, davanti alla legge, dovrebbero essere considerate equivalenti. Le conseguenze pratiche sono pesanti: chi lavora nelle carceri e vive un’unione civile rischia di non poter usufruire di un diritto garantito invece a un collega sposato, solo a causa della forma giuridica della propria relazione.

Si rischia una frammentazione dei diritti
Molti temono che questa interpretazione possa aprire la strada ad altri casi simili in altre amministrazioni pubbliche. Il rischio è quello di creare una frammentazione dei diritti, dove le tutele dipendono più dalle interpretazioni burocratiche che dalle leggi scritte. La vicenda riporta al centro una questione fondamentale: la piena uguaglianza dei diritti civili. Nonostante le leggi italiane abbiano fatto passi avanti nel riconoscere le coppie dello stesso sesso, episodi come questo mostrano quanto la strada sia ancora lunga per arrivare a una vera parità di trattamento.
In attesa che il Ministero della Giustizia o altri organi chiariscano la questione, resta una sensazione di amarezza. In un Paese che si definisce civile, i diritti non dovrebbero essere messi in discussione a seconda del tipo di unione riconosciuta. La speranza è che questa vicenda serva da monito, affinché le istituzioni garantiscano a tutti i cittadini, senza distinzioni, la stessa dignità e gli stessi diritti.
