Operazione “Petrol-Mafie”: Annullata la “Mafia S.p.A. del Carburante”, Decimato il Cartello Illecito dell’Oro Nero
Le indagini di alto profilo sulla criminalità organizzata hanno da tempo rivelato una profonda integrazione delle mafie nei tessuti imprenditoriali, trasformando il riciclaggio di denaro illecito in un fenomeno sistematico e di portata globale. Questi capitali, generati da attività illegali, non vengono solo “ripuliti” nell’economia legale, ma sono attivamente reimmessi nel circuito criminale per generare ulteriori guadagni illeciti, come dimostrato dalle massicce frodi fiscali nel settore dei carburanti e degli oli minerali.
Nonostante l’attenzione pubblica si sia spesso concentrata sulle frodi nel settore petrolifero a causa degli ingenti milioni sottratti al fisco, tale ambito era solitamente percepito come dominio di “specialisti” in società fittizie (cartiere) e frodi “carosello”, senza collegamenti evidenti con le grandi organizzazioni mafiose. La recente operazione, tuttavia, ha svelato una sinergia perniciosa: una collaborazione tra il crimine organizzato e professionisti del “colletto bianco”, il cui contributo è risultato indispensabile per massimizzare i profitti derivanti da queste complesse evasioni fiscali.
L’operazione denominata “PETROL-MAFIE SPA” culmina un’ampia inchiesta, coordinata dalle Direzioni Distrettuali Antimafia (DDA) di Napoli, Roma, Reggio Calabria e Catanzaro, sotto l’egida della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA) e con il supporto di Eurojust. Le indagini hanno portato alla luce una colossale convergenza di reti e strategie mafiose, inizialmente distinte, tutte focalizzate sul traffico illegale di carburanti e sul riciclaggio di centinaia di milioni di euro attraverso società petrolifere formalmente gestite da prestanome incensurati.
Oltre un migliaio di agenti, tra i Nuclei PEF e lo SCICO della Guardia di Finanza e i ROS dei Carabinieri (quest’ultimi attivi specificamente nell’area di Catanzaro), sono stati impiegati sul territorio. Le investigazioni hanno evidenziato la posizione centrale del clan MOCCIA della Camorra nel controllo delle truffe sui prodotti petroliferi. Per quanto riguarda la ‘Ndrangheta, i clan PIROMALLI, CATALDO, LABATE, PELLE e ITALIANO sono stati identificati come attori chiave nel Reggino, mentre i BONAVOTA di S. Onofrio, il gruppo di San Gregorio, gli ANELLO di Filadelfia e i PISCOPISANI risultano attivi nella provincia di Catanzaro.
**Il ruolo della Camorra: Inchieste delle DDA di Napoli e Roma**
Le DDA di Napoli e Roma hanno condotto approfondite inchieste sul fronte camorristico, concentrandosi rispettivamente sul clan MOCCIA e sulla società Max Petroli SRL.
Il clan MOCCIA, riconosciuto come una delle più influenti e pericolose formazioni camorristiche a livello nazionale, è noto per la sua destrezza nel tessere relazioni con figure di spicco sia nel pubblico che nel privato, al fine di facilitare lucrosi investimenti di capitali illeciti sia nell’economia formale che in quella sommersa.
Tra le numerose indagini condotte dalla DDA di Napoli sul clan MOCCIA negli ultimi quindici anni, l’attuale operazione evidenzia l’evoluzione e l’intensificazione degli interessi del gruppo nell’economia legale, in particolare nel “settore strategico dei prodotti petroliferi”. L’indagine ha avuto inizio nel 2015 con un’attività del GICO della Guardia di Finanza di Napoli, delegata dalla DDA partenopea, che inizialmente si focalizzava su significativi investimenti del clan nell’edilizia e nel mercato immobiliare.
L’importanza strategica di questo nuovo canale d’investimento “legale” è stata confermata dal coinvolgimento diretto di Antonio MOCCIA, figura apicale del clan. Le intercettazioni hanno rivelato i suoi contatti con l’imprenditore del settore Alberto Coppola, i commercialisti Claudio Abbondandolo e Maria Luisa Di Blasio, e il faccendiere Gabriele Coppeta. Coppola, a sua volta, sfruttava attivamente la sua parentela con Antonio MOCCIA, presentandosi come suo cugino nelle trattative commerciali, un legame pubblicamente riconosciuto dallo stesso MOCCIA.
Tramite una serie di complesse operazioni societarie, il clan ha stabilito un rapporto con la Max Petroli SRL. Contestualmente, gli uffici napoletani di Alberto Coppola sono diventati il fulcro logistico delle attività fraudolente dei MOCCIA, da cui venivano gestiti gli ordini di prodotti petroliferi e orchestrato un intricato sistema di fatturazioni per operazioni inesistenti e movimenti finanziari esclusivamente digitali. Per l’organizzazione criminale, dopo aver effettuato i bonifici per il pagamento formale del carburante, l’esigenza primaria era convertire in contanti le ingenti somme corrispondenti all’IVA mai versata all’erario dalle “società cartiere”.
Per raccogliere gli enormi quantitativi di denaro contante generati dalla frode, il clan MOCCIA ha istituito un’organizzazione parallela di riciclaggio, autonoma e ben strutturata, gestita da “colletti bianchi” e attiva sia a Napoli che a Roma. In sintesi, le società “cartiere” controllate dal gruppo Coppola, una volta incassato il denaro per le forniture di carburante, trasferivano regolarmente ingenti somme tramite bonifici a società terze, mascherando pagamenti per servizi mai eseguiti. Questo meccanismo, attraverso una propria rete territoriale, gestiva i prelievi in contanti e la successiva consegna del denaro, utilizzando “spalloni” (corrieri) e trattenendo una percentuale sulle somme movimentate.
Si configura, quindi, un ciclo vizioso: fondi provenienti da attività criminali dei clan vengono re-investiti in un settore economico legittimo, quello petrolifero, per generare ulteriori profitti illeciti attraverso frodi fiscali. Questo “effetto moltiplicatore” dell’illegalità non solo falsifica il mercato con prezzi al dettaglio insostenibilmente bassi per gli operatori onesti, ma induce anche questi ultimi a ritirarsi, di fronte alla consapevolezza di competere con imprenditori legati alla criminalità organizzata.
Nell’area romana, questa complessa struttura professionale impiegava ulteriori individui che dirigevano piccoli team, incaricati di effettuare prelievi continui e frazionati da conti correnti postali intestati a società fittizie o prestanome. Il denaro contante così raccolto veniva convogliato nell’area napoletana e, tramite “spalloni”, riportato ai medesimi riciclatori romani, che provvedevano poi alla consegna finale ai “clienti”. Tra questi figurava, come accertato, il gruppo societario di Alberto Coppola e Antonio MOCCIA, completando così il sofisticato ciclo di riciclaggio del denaro sporco.
In sintesi, Antonio MOCCIA, Alberto COPPOLA e Anna BETTOZZI sono gravemente indiziati di aver stabilito un accordo societario di fatto, finalizzato alla commissione di illeciti che hanno giovato a tutti i partecipanti. Il legame con Alberto Coppola si è rivelato cruciale per la Bettozzi: l’uomo è subentrato nella sua azienda in un periodo di marcata difficoltà economica e gestionale, aggravata dai problemi di salute del marito, Sergio Di Cesare. Sebbene la Bettozzi fosse una figura astuta e ben connessa negli ambienti di potere imprenditoriale romano, non era in grado di gestire l’attività di petroliere da sola, a differenza del coniuge di comprovata esperienza. L’accordo con Coppola e MOCCIA ha quindi fornito all’impresa la competenza “specialistica” di Coppola e, soprattutto, i mezzi finanziari e il supporto del potere mafioso di MOCCIA, entrambi non solo benvenuti ma attivamente ricercati nel contesto affaristico capitolino.
Le indagini condotte a Napoli hanno rivelato che il crescente dominio dei MOCCIA nel settore degli oli minerali, raggiunto grazie a prezzi estremamente competitivi resi possibili dalle frodi, ha scatenato reazioni, talvolta violente, da parte di altri clan camorristici. Alberto Coppola, in particolare, è stato bersaglio di due attentati a colpi di pistola, a seguito dei quali ha prontamente chiesto l’intervento del suo referente e parente Antonio MOCCIA. Questo ha portato all’imposizione di una “pax mafiosa” da parte dei MOCCIA, sigillata dalla cessione di una quota di un impianto di carburanti al clan MAZZARELLA.
**Il fronte della ‘Ndrangheta: Le scoperte della DDA di Catanzaro**
Le investigazioni sulla ‘Ndrangheta, avviate nel giugno 2018 dalla DDA di Catanzaro come naturale estensione dell’operazione “Rinascita-Scott”, si sono focalizzate su alcuni imprenditori del Vibonese. Questi, attivi nel commercio di carburanti, erano considerati espressione della cosca MANCUSO di Limbadi e mantenevano collegamenti con altre ramificazioni della ‘Ndrangheta sia nel Vibonese (BONAVOTA di S. Onofrio, il gruppo di San Gregorio, ANELLO di Filadelfia e PISCOPISANI) che nel Reggino (cosche PIROMALLI, ITALIANO di Delianuova e PELLE di S. Luca).
Le indagini hanno rivelato due distinti schemi fraudolenti nel commercio di gasolio, meticolosamente ideati, organizzati e attuati dagli indagati, che coinvolgevano 12 società, 5 depositi di carburante e 37 distributori stradali.
La prolungata attività investigativa ha raccolto gravi indizi contro soggetti mafiosi che, in collusione con imprenditori e gestori di attività economiche in Sicilia operanti nello stesso settore, avrebbero fondato, organizzato e diretto un’associazione a delinquere con quartier generale a Vibo Valentia. Questa organizzazione era specializzata nell’evasione dell’IVA e delle accise sui prodotti petroliferi destinati al consumo.
L’associazione è accusata di un’ampia gamma di reati fiscali ed economici, tra cui contrabbando di prodotti petroliferi, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, impiego di società “cartiere”, falsificazione e uso di Documenti di Accompagnamento Semplificati (DAS), riciclaggio, reimpiego di proventi illeciti in attività economiche, auto-riciclaggio e trasferimento fraudolento di beni.
Un intricato sistema di frode prevedeva l’importazione, prevalentemente dall’Est Europa, di prodotti petroliferi alterati (miscele) e oli lubrificanti. Questi venivano poi immessi nel mercato come gasolio per autotrazione, generando profitti considerevoli grazie alla notevole differenza nelle aliquote fiscali. Con documentazione di accompagnamento falsificata, i prodotti raggiungevano i depositi dell’associazione a Maierato (VV) e Santa Venerina (CT), da cui venivano distribuiti sul mercato (sia regolarmente fatturati che totalmente in nero) come “gasolio per autotrazione”, una categoria merceologica di valore superiore e soggetta a un’accisa più elevata, garantendo un sostanziale margine di guadagno illecito.
Tra il 2018 e il 2019, attraverso questo meccanismo, sono stati movimentati circa 6 milioni di litri di gasolio per autotrazione di origine illecita, causando un’evasione di accisa di oltre 5,7 milioni di euro. Ulteriori accertamenti hanno rivelato un’evasione IVA di circa 661 mila euro per omessa dichiarazione, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per un importo superiore a 1,7 milioni di euro e un omesso versamento IVA di quasi 1,73 milioni di euro.
Una seconda associazione a delinquere operava con una diversa tipologia di frode, incentrata sull’utilizzo strategico di un deposito fiscale romano gestito dalla società MADE PETROL ITALIA S.r.l. Anche questo schema era stato concepito e organizzato a Vibo Valentia, con il coinvolgimento degli stessi imprenditori vibonesi e la partecipazione di indagati (principalmente) da Roma e Napoli, alcuni dei quali interni ad associazioni camorristiche partenopee. In questo scenario, gli affiliati acquistavano dal deposito notevoli volumi di prodotto petrolifero che, sui documenti, era falsamente dichiarato come “gasolio agricolo” – e quindi soggetto a tassazione agevolata – mentre in realtà veniva movimentato autentico “gasolio per autotrazione”, garantendo così un considerevole risparmio illecito e margini di guadagno estremamente elevati.
Anche in questo caso, gli affiliati miravano sistematicamente all’evasione fiscale e all’ottenimento di profitti illeciti attraverso queste attività commerciali. Le modalità includevano l’emissione di fatture per operazioni fittizie, la simulazione della titolarità o gestione di società “cartiere” attribuite a terzi, l’uso di documentazione falsificata, e il riciclaggio/reimpiego di fondi di provenienza illecita in altre attività economiche.
In questo ulteriore ramo del contrabbando, è emerso anche il coinvolgimento di un gruppo di Catania, riconducibile a individui già noti per precedenti inchieste e identificati come imprenditori di riferimento delle famiglie mafiose catanesi MAZZEI e PILLERA.
Concretamente, tra il 2018 e il 2019, questo schema illecito ha permesso la movimentazione di oltre 2,4 milioni e 1,9 milioni di litri di prodotto petrolifero rispettivamente, portando a un’evasione di accisa di circa 1,86 milioni di euro e un’evasione IVA di quasi 618 mila euro per omessa dichiarazione, a cui si aggiunge l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per circa 249 mila euro.
In questo contesto, è emersa anche una salda connessione tra gli indagati del Vibonese e i responsabili di un deposito fiscale a Locri, un luogo strategico dove gli affiliati campani e siciliani intendevano stabilire traffici regolari per espandere ulteriormente i loro schemi fraudolenti.
All’interno di questa complessa rete di contrabbando di prodotti petroliferi e riciclaggio, consistenti indizi puntano al coinvolgimento di figure apicali della cosca MANCUSO, le quali gestivano (tramite prestanome) impianti di distribuzione di carburante.
L’estensione e la capacità di ramificazione del fenomeno criminale sono ulteriormente confermate da un segmento dell’inchiesta che ha rivelato il tentativo degli imprenditori vibonesi, in collaborazione con i vertici della famiglia MANCUSO, di stabilire nuovi canali di importazione diretta di carburante in Calabria. A tal fine, avevano avviato trattative con il rappresentante di un’importante multinazionale petrolifera, giunto appositamente nella regione.
È stato possibile monitorare un incontro tra tutti i soggetti menzionati, durante il quale si discuteva un ambizioso progetto ingegneristico e commerciale: la costruzione di un deposito fiscale costiero per prodotti petroliferi nell’area industriale di Portosalvo (VV), da connettere, mediante una condotta sottomarina, a una vasta cisterna galleggiante posizionata al largo della costa vibonese.
Infine, ma con significativa importanza, l’inchiesta ha svelato gli interessi della criminalità organizzata vibonese nel settore edile. Qui, forti indizi suggeriscono un controllo mafioso totale, esercitato dalle principali cosche attive nella zona (MANCUSO, BONAVOTA, FIARE’-RAZIONALE-GASPARRO, ANELLO), in particolare per quanto riguarda le forniture di calcestruzzo destinate ai maggiori cantieri della provincia di Vibo Valentia.
**Reggio Calabria: La ‘Ndrangheta e la Filiera del Petrolio**
A Reggio Calabria, contemporaneamente, si sono concluse indagini articolate, condotte dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria locale e dal Servizio Centrale I.C.O. di Roma, sotto il coordinamento della DDA reggina. Queste hanno riguardato una strutturata organizzazione attiva nel commercio di prodotti petroliferi, gravemente indiziata di aver impiegato sistemi fraudolenti per evadere sistematicamente le imposte. Il meccanismo prevedeva l’emissione e l’uso improprio delle “Dichiarazioni di Intento”, il tutto sotto la guida strategica di un commercialista e con la complicità dei gestori di depositi fiscali e commerciali. L’organizzazione criminale esercitava un controllo capillare sull’intera filiera di distribuzione del prodotto petrolifero, dal deposito fiscale fino ai distributori stradali.
Le investigazioni miravano a svelare gli interessi della ‘Ndrangheta, della mafia siciliana e della Camorra nella gestione del lucroso commercio di prodotti petroliferi su scala nazionale.
Tra i vertici di questa associazione criminale spiccano:
* Vincenzo RUGGIERO (classe ’35) e Gianfranco RUGGIERO (classe ’61), figure imprenditoriali legate alla cosca di ‘Ndrangheta “PIROMALLI”, attiva nel mandamento tirrenico della provincia di Reggio Calabria, in particolare a Gioia Tauro.
* Giovanni CAMASTRA (classe ’64) e Domenico CAMASTRA (classe ’71), insieme alle entità giuridiche a loro riconducibili, espressione imprenditoriale della cosca “CATALDO”, operante nel mandamento ionico reggino, con focus a Locri. Questi individui avevano offerto i loro servizi anche ad altre cosche nel tempo, tra cui i PELLE di San Luca, gli AQUINO di Gioiosa Ionica, i CORDI’ di Locri e i FICARA-LATELLA di Reggio Calabria.
* Giuseppe DEL LORENZO (classe ’75), considerato vicino alla cosca “LABATE”, predominante nella zona sud di Reggio Calabria.
Le società “cartiere” sotto indagine dichiaravano falsamente di possedere i requisiti necessari per ottenere le agevolazioni fiscali previste, presentando alla ITALPETROLI S.p.A. di Locri – il motore della frode – la dichiarazione d’intento per l’acquisto di carburante senza l’applicazione dell’IVA. Il prodotto così acquisito, dopo molteplici (e fittizi) passaggi societari, veniva ceduto a clienti selezionati a prezzi fortemente competitivi. Il meccanismo fraudolento, in sintesi, era il seguente:
* La frode prendeva avvio con forniture di prodotto in regime di non imponibilità, effettuate da un deposito fiscale (anche deposito IVA) pienamente consapevole e promotore dello schema illecito.
* L’acquisto veniva effettuato senza IVA da imprese “cartiere” che, pur non possedendo i requisiti di “esportatore abituale” secondo la normativa, presentavano dichiarazioni d’intento falsificate.
* Queste imprese, formalmente amministrate da prestanome nullatenenti, erano di fatto controllate e gestite direttamente dall’organizzazione criminale.
**Risultati e Provvedimenti Eseguiti: Un Colpo al Cuore della Finanza Criminale**
L’operazione ha portato all’emissione di un totale di **71 misure personali** (56 custodie cautelari in carcere e 15 fermi di indiziato di delitto) e al **sequestro di beni per un valore complessivo di 946,5 milioni di euro**.
**DDA Napoli:**
* **Misure:** 10 provvedimenti cautelari personali (6 in carcere, 4 ai domiciliari).
* **Sequestri:** Circa 4,5 milioni di euro.
* **Reati ipotizzati:** Associazione di tipo mafioso, aggravanti per reati connessi alla mafia, trasferimento fraudolento di valori, concorrenza illecita con minaccia o violenza, estorsione, riciclaggio, impiego di capitali illeciti, auto-riciclaggio, confisca per sproporzione, concorso nel reato, tentativo, detenzione e porto illegale di armi.
* **Forze dell’ordine:** 220 Finanzieri del Comando Provinciale di Napoli.
**DDA Catanzaro:**
* **Misure:** 15 fermi di indiziato di delitto.
* **Sequestri:** Beni per un valore complessivo di 142 milioni di euro.
* **Reati ipotizzati:** Associazione per delinquere di tipo mafioso (‘Ndrangheta), estorsione, riciclaggio, intestazione fittizia di beni (tutti aggravati dalle modalità mafiose), oltre ad associazione per delinquere finalizzata all’evasione IVA e delle accise sui prodotti petroliferi.
* **Forze dell’ordine:** 250 Finanzieri del Comando Provinciale di Catanzaro e 400 Carabinieri (inclusi ROS, Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, XIV Battaglione “Calabria”, Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e G.I.S.).
* **Beni sequestrati:** 15 imprese nel commercio di carburanti (con 6 depositi e 30 distributori), 8 imprese edili, 2 di trasporti, 1 di commercio veicoli, 2 agricole, 6 di servizi vari, 161 beni mobili, 249 immobili (terreni, appartamenti, ditte) distribuiti in diverse province italiane.
**DDA Reggio Calabria:**
* **Misure:** 23 provvedimenti cautelari personali (19 in carcere, 4 ai domiciliari).
* **Sequestri:** Oltre 600 milioni di euro.
* **Reati ipotizzati:** Associazione di stampo mafioso, associazione per delinquere aggravata dall’agevolazione mafiosa, frode fiscale, riciclaggio e ricettazione.
* **Forze dell’ordine:** 500 Finanzieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria e dello S.C.I.C.O. di Roma, con il supporto di altri Reparti.
* **Area d’intervento:** Operazioni condotte in numerose province italiane e, in collaborazione con organi collaterali esteri e autorità giudiziarie straniere coordinate da Eurojust e Interpol, in Germania, Bulgaria, Ungheria, Romania, Malta e Spagna.
