Il Custode Silenzioso: San Giuseppe, la Fede che Ha Plasmato la Storia della Salvezza
La vita e la missione di San Giuseppe sono indissolubilmente intrecciate con gli eventi fondanti dell’esistenza di Cristo. Giuseppe, un semplice artigiano di Nazaret, sposò Maria, la quale, pur rimanendo vergine, concepì Gesù, Figlio di Dio incarnato, per opera dello Spirito Santo. Inizialmente, questo “uomo giusto,” non volendo turbare il disegno divino, considerò di separarsi da Maria in segreto. Fu un intervento angelico, tuttavia, a rivelargli la volontà di Dio, ordinandogli di accogliere Maria come sua sposa e di imporre il nome al Bambino.
In questo modo, Giuseppe, discendente della stirpe di Davide, riconoscendo il figlio della sua sposa come proprio, lo inserì legalmente nella discendenza davidica, un requisito essenziale per l’identificazione messianica di Gesù. Come “ministro della salvezza,” Giuseppe provvide a ogni necessità legata alla nascita di Gesù: la registrazione per il censimento a Betlemme, la circoncisione, la presentazione al Tempio, la fuga in Egitto per proteggerlo, e il ritorno a Nazaret, dove si occupò del suo sostentamento e della sua educazione alla vita e al mestiere.
L’ultimo episodio narrato dai Vangeli ci mostra Giuseppe a Gerusalemme, durante la ricerca angosciosa del Gesù dodicenne ritrovato poi nel Tempio. Da quel momento, il resto della sua vita si svolge in un servizio discreto e silenzioso, nell’intimità della Santa Famiglia, fino al suo pio trapasso, assistito da Gesù e Maria. I Vangeli di Matteo e Luca offrono scarne ma significative menzioni: lo descrivono come un discendente “della casa di Davide,” un “uomo giusto,” e raccontano il suo matrimonio con Maria in giovane età.
Una tradizione suggestiva narra di una gara tra i pretendenti alla mano di Maria: il bastone che Giuseppe teneva in mano fiorì prodigiosamente, mentre quelli degli altri rimasero secchi. Questa leggenda cela un profondo significato mistico: dal tronco ormai inaridito dell’Antico Testamento, la grazia rifiorisce sotto la nuova luce della Redenzione. Il suo fu un vero matrimonio con Maria, sebbene verginale. Giuseppe, nonostante i segni della maternità in Maria, non dubitò mai della sua integrità, pensando piuttosto di “rimandarla in segreto” per la sua giustizia. Il suo tormento fu alleviato da un sogno in cui un Angelo gli parlò, e Giuseppe “prese con sé la sua sposa.” Con lei si recò per il censimento a Betlemme, dove il Verbo Eterno nacque nel mondo, accolto da umili pastori e saggi magi, ma anche dalla minaccia di Erode. Guidati da un Angelo, fuggirono in Egitto e, sempre su indicazione divina, tornarono a Nazaret, fino all’episodio di Gesù dodicenne ritrovato nel Tempio di Gerusalemme.
Successivamente, il Vangelo si congeda da Giuseppe con l’immagine toccante della Santa Famiglia: Gesù, sotto la guida e l’amore di Maria e Giuseppe, cresceva in “sapienza, età e grazia.” Giuseppe morì prima che Gesù Redentore iniziasse la sua vita pubblica, avendo vissuto con umiltà il privilegio di essere stato scelto come padre putativo di Cristo.
La figura biblica di Giuseppe rimase a lungo in ombra anche dopo la sua morte, tanto che il suo culto iniziò a fiorire solo nel pieno Medioevo. Inesistente per molti secoli, si diffuse rapidamente dalla fine del Medioevo, raggiungendo il suo culmine nel XX secolo. La festa di San Giuseppe del 19 marzo fu inizialmente concessa ai frati minori da Sisto IV nel 1480, e in seguito resa obbligatoria per tutta la Chiesa da Gregorio XV nel 1621. Il patrocinio di San Giuseppe divenne una festa universale con Pio IX nel 1847. La Festa di San Giuseppe Lavoratore, celebrata il Primo Maggio, fu istituita da Pio XII nel 1955. Il 13 novembre 1962, Giovanni XXIII inserì il nome di San Giuseppe nel Canone Romano della Messa. Nelle Chiese d’Oriente, la sua memoria è celebrata il 26 dicembre, insieme a quella della Vergine Maria.
Numerosi documenti pontifici e atti ecclesiali hanno onorato San Giuseppe:
1. **Enciclica “Quamquam Pluries”** (15 agosto 1889) di Leone XIII, incentrata sul Santo Rosario e la devozione a San Giuseppe.
2. **Esortazione apostolica “Redemptoris Custos”** (15 agosto 1989) di Giovanni Paolo II, che esplora la figura e la missione di San Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa.
3. **Decreto “Quemadmodum Deus”** (8 dicembre 1870) di Pio IX, che proclamò San Giuseppe Patrono della Chiesa universale.
4. **Lettera Apostolica “Patris Corde”** (8 dicembre 2020) di Papa Francesco, scritta in occasione del 150° anniversario della proclamazione di San Giuseppe a patrono della Chiesa universale.
5. La preghiera **”A te o Beato Giuseppe,”** aggiunta da Leone XIII in calce all’enciclica “Quamquam Pluries.”
6. La devozione del **”Sacro Manto,”** commemorativa dei trent’anni trascorsi da San Giuseppe con Gesù, approvata il 22 agosto 1882 dall’Arcivescovo di Lanciano, F. M. Petrarca. Secondo un’antica leggenda, San Giuseppe avrebbe lasciato in pegno il suo mantello per poter pagare la legna e riscaldare Gesù.
Santa Teresa d’Avila (1515-1582) dichiarò: “Non ho conosciuto persona che sia veramente devota di San Giuseppe e gli renda qualche particolare servizio, senza che faccia progressi nelle virtù.”
L’ipotesi teologica dell’assunzione corporea di San Giuseppe in cielo è un tema di dibattito aperto, non un dogma di fede. A differenza dell’Assunzione della Vergine Maria, definita dogmaticamente da Pio XII nel 1950 con la Costituzione “Munificentissimus Deus,” quella di Giuseppe non ha mai ricevuto un tale riconoscimento. È una tesi audace ma non temeraria, su cui la discussione teologica prosegue. Le Scritture non offrono dichiarazioni esplicite sull’argomento, e la tradizione del primo millennio appare silenziosa in merito.
L’interpretazione dei Padri riguardo al passo enigmatico del Vangelo di Matteo 27, 51-53 – “Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di Santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua resurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti” – è divergente. Agostino e Gregorio Magno intesero queste resurrezioni come temporanee e terrene, simili a quella di Lazzaro, con una successiva morte. Ambrogio e Beda, invece, credettero che questi Santi risuscitarono in maniera gloriosa come Cristo, furono liberati dagli inferi e condotti in Cielo il giorno dell’Ascensione. Tuttavia, in nessuno di questi autori compare il nome del Carpentiere galileo. Solo lo scritto apocrifo “Storia di Giuseppe il falegname” descrive una scena commovente in cui Gesù, presente alla morte del suo padre putativo, annuncia l’incorruttibilità del suo corpo.
Il panorama teologico muta radicalmente nel secondo millennio. San Pier Damiani (1007-1072) accenna all’assunzione di Giuseppe in alcune omelie. Giovanni Gersone (1363-1429), Canonico di Chartres, la sostenne al Concilio di Costanza, insieme a San Bernardino da Siena (1380-1444). L’influente gesuita Francisco Suarez (1548-1617) la ritenne plausibile, così come San Francesco di Sales (1567-1622), che fece notare l’assenza di reliquie del falegname nazareno in tutta la cristianità. Il francescano San Leonardo da Porto Maurizio (1676-1751) parlò della glorificazione di San Giuseppe in anima e corpo, al pari di Maria. La venerabile Maria di Agreda (1602-1665), interpretando il Vangelo di Matteo sulla risurrezione dei “corpi di santi morti,” incluse San Giuseppe, Sant’Anna, San Gioacchino e altri patriarchi antichi distintisi per la loro fede. Anche Giovanni XXIII (1881-1963), nell’omelia dell’Ascensione del 1960, affermò: “si può piamente credere che nel giorno in cui il Salvatore salì al cielo, vennero dischiuse le porte della gloria pure a colui che gli aveva fatto da padre sulla terra.”
La fede di San Giuseppe era semplice e assoluta, simile a quella dei grandi patriarchi, con i quali condivideva il mezzo di comunicazione divina: il sogno. Questa fede-obbedienza non era tanto un’adesione intellettuale a verità, quanto una cieca fiducia in Dio e una scrupolosa esecuzione dei suoi comandi. Giuseppe è chiamato “padre di Gesù” e Gesù “il figlio di Giuseppe” dai Vangeli (Lc 4,22). Maria stessa dice: “Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2,48). La paternità non si limita alla generazione biologica, ma si estende all’accoglienza, all’allevamento e all’educazione di un figlio con dedizione e sacrificio. Giuseppe adempì a questo ruolo in maniera esemplare verso Gesù.
La formazione biblica e religiosa di ogni fanciullo ebreo passava attraverso il padre. Giuseppe mostrò una calma inalterabile, mai un segno di impazienza, e un profondo rispetto per la sua sposa. L’ira, infatti, rovina ogni cosa ed è un segno di debolezza. I padri di oggi hanno, dunque, molto da imparare da lui. È anche un esempio per i Pastori della Chiesa: come Giuseppe servì il capo del Corpo Mistico, così i Pastori devono servire il Suo Corpo, che è la Chiesa.
Giuseppe è un modello per tutti coloro che si guadagnano il pane con il sudore della fronte (come ricordato dalla Festa del 1° maggio), indicando nel lavoro una via di santificazione. Egli conobbe molte delle difficoltà che affliggono i lavoratori contemporanei: la ricerca di un alloggio, la necessità di fuggire dalla propria patria in cerca di sicurezza, la preoccupazione per il sostentamento quotidiano. Nel libro della Genesi 41,55, leggiamo che in Egitto, durante la carestia, il faraone disse ai sudditi: “Ite ad Joseph” (Andate da Giuseppe), riferendosi a Giuseppe, figlio di Giacobbe e viceré d’Egitto. La tradizione ha applicato questa esortazione anche al secondo Giuseppe: “Andate da Giuseppe.”
Oggi, la crisi umanitaria più profonda è la “crisi d’amore,” da cui scaturiscono tutte le altre. Anche tra sposi, sacerdoti e religiosi, spesso manca una piena maturazione del dono di sé; si ricade nella sola logica del sacrificio, rischiando di esprimere solo infelicità, tristezza e frustrazione, anziché la bellezza e la gioia dell’amore (cfr. Lettera Apostolica “Patris Corde,” 7).
